con Paolo Tibaldi, Filippo Bessone e la partecipazione di Giampiero Gregorio (musicista)

👅 LINGUE DI TERRA è la probabile etimologia della parola Langhe, ma vuole anche significare la lingua e le lingue parlate in questi stessi luoghi. Lingue che si fanno identità: modo di pensare, vivere, educare, sognare, nutrirsi e, solo infine, parlare.
Una narrazione che spazia tra momenti umoristici ed emotivi, attraverso l’esilarante aneddotica legata ad alcune espressioni, talvolta di carattere storico-etimologico, fino a toccare corde decisamente emozionali. Tutto è volto all’indagine – tra ingegno e sentimento – della forma mentis tipica della civiltà piemontese e di un senso di appartenenza ancestrale.
Un manifesto sociale può senz’altro essere la lingua parlata in quel luogo. Se la parola è prolungamento del corpo e
strumento di comunicazione, è anche madre del pensiero, forma mentis con cui si viene educati.
La parola (pronunciata o meno) può dettare l’azione; da essa spesso dipende l’approccio alla vita
di una persona. La parola diventa allora identità?
LINGUE DI TERRA è custodia di un fuoco che ha forgiato la civiltà da cui arriviamo, imprescindibilmente contadina.
La comprensibilità è garantita a qualunque pubblico, anche di origine non piemontese.

“Tra gli uomini tutti, il piemontese è il primo a sapere cosa sia una “predica inutile”.

Può ascoltarla, meditarla, farne tesoro, ma il rombo delle parole non modificherà la sostanza dei suoi atteggiamenti.

Rivolgersi ai piemontesi significa innanzitutto non fingere: è come parlare davanti a uno specchio, il minimo accenno di recita lo deformerà.

I piemontesi continuano a produrre più di quanto consumano, seguitano a credere che lavorare bisogna, obbediscono a un codice morale che parla di fedeltà, di puntiglio, di sacrificio nel presente perché questo presente è il crogiuolo del domani, dei figli, delle “cose”.

La forma della vita piemontese è un vaso con qualche crepa, dai contorni ancora precisi. Logorati, ma non distrutti.

Nel giro di due generazioni il Piemonte ha dimostrato che piemontesi si nasce, però lo si può anche diventare con indubbi vantaggi.

Le nostre colline hanno subito tracolli, brutture e povertà ma la trama umana, i discorsi ironici, la tenacia laboriosa hanno in qualche modo resistito al degradarsi del mondo.

Siamo ancora qui ad inventarci la vita, a ricordare ciò che è memorabile, a non spaventarci per i sussulti crudeli dell’esistenza.

Di buon animo, con la testa dura, continuiamo.” Giovanni Arpino