La bottega dell’orefice vuol essere una pièce sull’amore – talvolta coraggiosamente messo in discussione – sul risultato dell’umanità. I suoi personaggi, semplici e per nulla altisonanti, saranno veicolo di un messaggio in un solo modo: insieme, imprescindibilmente.

La struttura della rappresentazione è tripartita, suddivisa in capitoli ben distinti che portano un presagio sin dal sottotitolo: i richiami, lo sposo, i figli. Discorsi indiretti arricchiti da riflessioni e ricordi, faranno sì che lo spettatore si senta fidato confessore dei personaggi scenici. È un’impressione assai rara.

La pièce che ci offre Wojtyła è priva di didascalie, di suggerimenti per gli effetti decorativi, per i costumi e oggetti scenici. È sufficiente la presenza dell’attore, della sua voce umana dettata dal pensiero. Il resto è rinunciabile: elemento fondamentale ed essenziale ancora oggi nella cultura polacca. Ogni singola battuta ha una sua musicalità imprescindibile, che non lascia spazio a lapsus o sinonimi. Ogni parola è pesata, come fosse una poesia.

Dell’orefice cosa sappiamo? È un artigiano instancabile, depositario dell’oro e dunque della sua preziosa luce; il suo sguardo è mite e penetrante; sappiamo che cerca i cuori per sondarli, immergersi nel loro passato e abbracciare il futuro. Ognuno ha libero arbitrio di cercare l’orefice, di vederlo. Lui ci sarà. Nei suoi pressi vi è una bilancia con la quale misura il peso specifico dell’essere umano.

Moltiplica la grandezza per la debolezza e avrai il risultato dell’umanità, il risultato della vita umana

 

Che questo orefice sia una metafora? Ad ogni modo i personaggi in scena sono uomini e donne segnati, in modi diversi, da una guerra propria. Del resto, chi di noi può ritenersi escluso? Il simbolo prese la parola…

 

Testo: Karol Wojtyła

Interpreti: Mario Bois, Paolo Tibaldi, Micol Damilano, Martina Mansueto, Diego Coscia, Marta Zotti, Fabio Rossini

Durata: 100 minuti